Il mestiere dell'artista. Da Raffaello a Caravaggio (Sellerio) by Claudio Strinati

Il mestiere dell'artista. Da Raffaello a Caravaggio (Sellerio) by Claudio Strinati

autore:Claudio Strinati [Strinati, Claudio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Sellerio Editore
pubblicato: 2020-06-06T16:00:00+00:00


XII

Un’altra delle parti di cui si compone la pittura, secondo l’abate Lanzi, è il colorito. Lo scrittore afferma che Raffaello fu eccelso da questo punto di vista. In effetti, basta porsi di fronte a un’opera di Raffaello per rendersene conto. Ma, andando in profondità, occorre capire che cosa intendeva il Lanzi parlando di colorito. Egli pensava che Raffaello, nato a Urbino, formatosi nel centro dell’Italia, trionfante poi a Roma, non aveva nulla da invidiare a quella scuola artistica in cui il colorito, l’arte del colore, era veramente eccelsa e apparentemente insuperabile: la scuola veneta. È importante l’osservazione del Lanzi perché anche oggi gli studiosi, quando debbono sviscerare i meriti della scuola pittorica veneta e veneziana in particolare, appuntano la loro analisi sull’elemento del colore e sulla straordinaria attitudine al colore dei pittori veneti. Ed è effettivamente vero che il colore veneto ha un significato particolare non soltanto nell’arte, ma in senso lato nella mentalità odierna. Si tratta del rapporto tra la gente che vive in una città come Venezia (ma anche in certe città sparse nel resto dell’Europa che con Venezia hanno l’analogia fondamentale di essere città di mare) e il colore del cielo e del mare e il variare della luce che essa esprime in qualche modo perfino con l’abbigliamento.

Basta fare una passeggiata per Venezia, salire sul campanile di San Marco, guardare la piazza, per rendersi conto che il colore veneto non è un concetto astratto ma una realtà vivente. E non c’è dubbio che i grandi pittori veneti del Cinquecento, da Giorgione, a Tiziano, a Tintoretto, al Veronese – alcuni dei nomi più celebri della scuola veneta nel corso di tutto il secolo – sia pure con le debite differenze, abbiano avuto un’attitudine a mostrare l’accordo cromatico che davvero non ha eguale in altre tradizioni. Raffaello non era però veneto. E tuttavia fu dotato, in questo aspetto della pittura, come i veneti. Questo perché ebbe modo di confrontarsi direttamente con uno dei maestri di quella scuola.

Negli anni in cui Raffaello cominciava la sua carriera romana, giunge a Roma da Venezia un pittore importante, che dal punto di vista caratteriale e dello stile poteva sembrare quanto di più lontano rispetto a Raffaello medesimo: Sebastiano Luciani, passato alla storia con il soprannome di Sebastiano del Piombo. Per un lungo periodo della sua vita svolse un’attività, oltre che di artista, di funzionario, adibito ad uno degli uffici del Vaticano, il cosiddetto ufficio della piombatura apostolica che è quello che oggi potremmo chiamare ufficio del protocollo. Era un intellettuale ma in modo alquanto diverso da Raffaello. I rapporti non erano certo buoni, perché erano due presenze significative nello stesso ambiente, con committenti analoghi.

Inoltre, mentre Raffaello era legato a certe cerchie dell’ambiente vaticano, Sebastiano del Piombo era amico di Michelangelo Buonarroti, quello che potremmo definire forse il nemico numero uno di Raffaello. I contrasti tra questi artisti durarono molto e furono caratterizzati da tutta una serie di episodi rilevanti. Non si tratta di aneddotica perché questa situazione ebbe riflessi e ricadute notevoli.



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